Ubuntu, vasi, vetro e Venezia

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Ah se non ci fosse la forza vitale. 
Perché secondo la filosofia Ubuntu c’è un legame universale che unisce tutta l’umanità, e questa forza vitale, funziona propria come fosse corrente  elettrica: anima la vita e, quindi, anche il canale ancestrale – il luogo dove si trovano:  vivi, defunti e nascituri. L’idea di base è :‘io sono perché noi siamo’. 

Parole che nascondono un modo di pensare curioso e diverso a cominciare dal modo di intendere il tempo.  

Il presente, inteso come qui e ora,  che per noi occidentali il fondamento della nostra libertà e l’unico istante sulla quale abbiamo potere, non ha spazio.

Nella tradizione sudafricana protagonista è invece l’intreccio tra passato e futuro  (leggevo un testo di approfondimento che li associava a due serpenti appesi ad un ramo che  fanno l’amore). Un modo di pensare  che ricade sul rapporto con gli antenati.  Prendere il caso, di una tribu  troppo numerosa. Quando una parte dei suoi componenti si trasferiva in altre terre, doveva chiedere il permesso allo ‘Spirito’ del luogo. Ma anche con il succedersi delle generazioni, la terra rimaneva di proprietà degli antenati e l’effetto era come se vivessero sempre in casi d’altri. Tanto il potere della tradizione.

Reso ancora più forte dal modo di concepire se stessi, come persona. 

Infatti per  chi crede/credeva  nella filosofia ubuntu  non c’è una separazione tra anima e corpo. Ma l’immortalità è della persona nella sua globalità, anche lo status che si è ottenuto vivendo si mantiene nell’altra vita. È tutto questo nonostante pensino una persona e’ fatta di altre tre persone: il corpo fisico -che è una manifestazione del se-, l’ombra -noi nella nostra natura immortale- e il soffio -la vita-. Il motivo è che non c’è una parte che prevale sull’altra ma sono gli elementi del tutto.

Insomma Ubuntu è tutto questo, almeno le sue radici, perché oggi è la parola sinonimo del legame universale di scambio dell’umanità intera.
E a proposito Emmanuel Babled e Lara Morrel hanno pensato cosi, in ubuntu. 

Aggiungendo a questo discorso un’altra teoria africana intrigante: il vaso inteso come i contenitore che celano i più grandi misteri del creato, sommata alla magia del vetro e all’isola di Murano, dove pare che la tradizione dei maestri vetrai cominciò nel 1291. 
Il risultato sono opere che sono ponti tra culture, convinzioni personali e abilità differenti.

Tra l’altro con loro ha preso parte al progetto il  Jisamwe Collective insieme ai team di Andrea Zilio -considerato uno dei massimi esperti nella soffiatura del vetro a livello mondiale- e Matteo Brioni con le sue lavorazioni a base di terra cruda.
Ma è con Emmanuel Babled che vorrei concludere, perché a ripensare quando lo intervistai, la condivisione – l’ubuntu- è proprio il suo modo di essere e fare architettura.  

Elisabetta Guida