Tra verità e menzogna

Non sono una persona molto natalizia, ma questo il mio augurio: 

Ho scoperto un articolo super interessante ( la rivista, “Psyche”). Il tema è: come distinguiamo quello che è vero da quello che non lo è? Penserete la scienza…  ma la scienza non è religione: si basa sull’errore e proprie per questo qualunque assunto dato per vero, anche al 99%, è una verità statistica. E se mettessimo una storia, magari il sospetto di un tradimento: quali sono i presupposti per cui pensiamo che quello che ci viene detto è vero?

L’autore dell’articolo ambienta la disputa all’interno di una saga vichinga che venne raccontata  durante un matrimonio all’inizio dell’anno 1000 e si chiede come si pongono le credenze rispetto alle varie epoche? E certo parla di tecniche narrative. Ho scoperto che l’islandese antico ha il passato prossimo  come l’Italiano.  Tempo verbale utilissimo perché permetteva -raccontando un passato recente- di agganciare gli eventi a situazioni e fatti che i più potevano sperimentare. Ma soprattutto racconta che nella lingua vichinga nei significati della parola “menzogna”  comprendono anche verità. Perché per questa antica popolazione non esisteva l’idea di una verità che non fosse quella associata alla prova può far vincere un processo.

Affascinante. Perché dimostra quanto sia labile, e probabilmente inesistente, il confine tra ciò che si considera vero e quello che si ritiene falso, forse ancora più sottolineato se si fa riferimento al concetto di ‘verità processuale’, cioè l’ipotesi più probabile. 


Leggevo le parole di questo studioso e nella mia mente di stagliavano le opere di Pep Ventosa;  un fotografo che fa centinaia di scatti di un stesso luogo, che poi sovrappone in modo sempre impreciso. Il risultato è che sembra  riesca a fotografare il tempo che passa, l’impermanenza, i si dice, le convinzioni, i modi giusti per fare qualcosa. Oppure a Rop Van de Mierlo che bagna i suoi disegni facendoli diventare macchie di colore; l’idea è mostrare il mistero della natura e la sua  incontrollabilita.

Credo che il punto sia proprio questo: la libertà, l’ingrediente fondamentale che rende la ‘verità’ un concetto malleabile, un procedimento, un percorso… qualcosa non si raggiunge mai completamente. Perché di verità ognuno ha la sua. Meglio, ha una luce dentro.

Anni fa, all’esame di avvocatura, incontrai una persona aveva la capacità di accendermela, semplicemente quando ero con lui ero più me, un’ Elisabetta potenziata, ma io, assolutamente io, come se m’avessero fatto l’upgrade. Una sensazione impossibile da descrivere se non si è provata. 

Quest’anno, ad un’altro esame, le selezioni  per un Master,  a Roma, in un hotel a sorpresa bellissimo ( l’avevo prenotato solo perché era a 200 metri dall’universita e costava poco), con i  camerieri  in smoking, mi sono raggiunta (da sola). Ed è stato come se le energie si fossero allineate e mi avessero regalato questa meraviglia. 

Ecco vi auguro la stessa cosa. 

Elisabetta Guida