Remix me

Sono andata a vedere “Remix me” al Meet, il digital culture center, una fondazione Cariplo che si occupa di web art e organizza eventi strepitosi.  Per esempio aperitivi a base di metaverso dove si può vedere il nostro corpo… al di fuori dal corpo.  Ieri è stata la volta di “Remix me”, nello specifico si è trattato di pezzo opere d’arte che diventano altre opere d’arte. Quarantaquattro opere create da altrettanti artisti tra cui il collettivo Hackatao.
A proposito ho in testa due pensieri. 

Il primo, sul punto di vista, vale a dire il dedalo di leggi sul diritto d’autore  coinvolte. Perché questo sta diventando un problema di proporzioni sempre più vaste. I social, i vari programmi di manipolazione dell’immagine, frammenti presi da una dipinto od una fotografia come fossero materia grezza da manipolare. Immaginate legislazioni di paesi differenti, normative che configgono, giurisprudenza che mette altre carne al fuoco. Per Remix me, il collezionista -intorno alla quale girava tutta l’esposizione- e titolare di uno studio legale ha predisposto con la curatrice  un regolamento che gli artisti hanno dovuto sottoscrivere. Resta che,  fermo il merito di avere acceso una luce sul questione, un po’ la sintesi che hanno trovato mi ha deluso. 

Premesso nel diritto d’autore a comandare è il denaro:
1- Andreste ad imbarcarvi in una causa perché qualcuno ha preso un frammento di una vostra opera? dipende chi siete anche al di là di quanto siete arrabbiati. A me è capitato che un quotidiano publicasse una fotografia scattata da me e non si sono neanche degnati di rispondere, quando ho chiesto spiegazioni. Loro sono potenti, io no.
2- I social. Intanto ci sono artisti che non possono prescinderne ed è l’unico modo attraverso cui avere visibilità. Tra l’altro pagata a caro prezzo. Avete notato che Pinterest invece da risalto a chi salva l’immagine ma non all’autore? Oppure avere mai provato a legare fotografia ed artista su Facebook, senza quell’orrore della scritta sopra l’immagine? Non so voi, ma a me sembra  il minimo sindacale. 
(Alle volte penso ci sia un disegno dietro questo: la negazione del merito & l’inno alla mediocrità.)
Avrei voluto che, individuato il problema, si fosse utilizzato questo progetto per fare  proposte potessero andare verso il cambiamento dello Status quo, mentre mi è parso più un documentare di come le cose stiino in questo modo è di come abbiano trovato l’escamotage legislativo per realizzare Remix me. 
Per questo l’ho trovato un progetto un tantino  barocco. È pretendere troppo da una mostra? Forse si, ma che senso “fare” se non si mette riparo alle storture?
L’arte non è un etichetta. Esprimersi è un esigenza che assocerei con il respiro, anzi, con qualcosa di ancora  più viscerale, l’essenza della vita stessa. 
Penso all’uomo della caverna, il mito di Platone,  una volta liberato dalle catene che lo tenevano imprigionato in una  grotta, ha potuto conoscere la verità sulle ombre che vedeva proiettate sul muro.  Ma per averne la certezza ha dovuto rientrare e confrontarsi con i suoi compagni, anche se di sicuro gli avrebbero dato del pazzo. Forse cerchiamo la verità anche con l’arte. 
Quel segno che possa racchiudere l’infinito di un sentire.

Il secondo pensiero invece è la meraviglia;  tutto merito dell’allestimento.  Se di questo si può parlare visto che le opere sono virtuali, celate nelle pieghe della realtà. Ma visibili solo attraverso una mappa (scaricabile con un Qr Code), la realtà aumentata ed il vostro dispositivo, che sia un Tablet o un telefono.  Allora eccole comparire per Piazza Oberdan. 
“Remix me” fa entrare nell’ordine di idee che c’è tutta una realtà  fuori dalla logica dei nostri pensieri, una ricchezza che non riusciamo a vedere, eppure esiste.
Elisabetta Guida