Ognuno ha la sua pioggia

Share

Ci sono tanti modi  di disegnare la pioggia, quante maniere di interderla. La cosa curiosa  e’ lo stretto legame tra lo stile, l’inquadratura che si decide di dare al disegno è l’opinione sul tema in una varietà infinita di sfumature. 

Difficile farne un’equazione perfetta: siamo un impasto di culture ed individualità, dove il minimo comune denominatore è l’inconscio collettivo, un luogo senza confini identitari o temporali che non sia l’umanità considerata in se’.

Si potrebbe dire che ognuno ha la sua pioggia. 

Prendete la storia più antica che mai ci sia giunta, “L’epopea di Gilgamesh” -scritta in lingua accadica, nel III secolo A.C – ed il suo diluvio. Il protagonista è alle prese con l’immortalità. Infatti ha saputo dall’unico uomo che è sopravvissuto al diluvio, che in fondo al mare cresce la pianta dell’immortalità. E dunque va’ e la prende.  Ma una notte mentre dorme un serpente gliela mangia, così creando un riflesso tra la morte, il diluvio e la condizione umana: immortali sono solo gli dei. 

Ma  nell Cina Antica, non la pensavano in questo modo, visto che ad essere temibile -al punto da essere considerata una prova mandata dalle divinità- è là siccità. E di sicuro la Tribù Indiana Cherokee -famosa per la danza della pioggia- amava i nubifragi: credevano le gocce contenessero lo spirito di valorosi guerrieri morti in battaglia. Dunque straordinari nel fare sloggiare energie e/o spiriti negativi nascosti nel terreno. 

Certo pensieri antichi, oggi la vita è un altra cosa. Eppure la forma che si sceglie per dare un volto a un qualcosa va al di là di qualsiasi cosa non sia il sentire. E si continua, fino a che l’incantesimo si compie ed abbiamo trasformato il mondo.