La luce danza in un vecchio fienile

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A volte basta un fienile, magari vecchio di cento anni, poco importa che le fondamenta debbano essere completamente ricostruite. Per “The Barn”si sono dovuti smontare e numerare ogni pezzo di legno che ne facevano lo scheletro esistente. Ma spesso, nascosto dietro il disuso e l’abbandono c’è la meraviglia. Anche se,  inizialmente, questa costruzione nella campagna canadese, di fronte al Monte Suttun, sembrava non potersi aspettare altro che le ruspe.
Invece: remise en forme.

L’idea è stata quella di valorizzare la parte strutturale; poi c’era il paesaggio cioè usare la leggerezza per confondere dentro e fuori. Dunque open space; ma è curioso come l’hanno reso e come hanno pensato di dividere gli spazi, per esempio la sala da pranzo senza pareti disposta al centro della zona living, proprio di fronte all’ingresso. Sembra stia. Duellando con i mobili da giardino, invece a pensarci è come se gli architetti avessero  preso l’interno per un terrazzo. Gli altri ambienti sono spinti ai lati, come se fossero in una nicchia laterale, esattamente come si fa in un giardino quando si imbastisce un salotto sotto un pergolato. Certo la luce regna sovrana. 

D’altra parte i fienili in se’ sono costruzioni che servono oltre che per riparare il foraggio durante i mesi freddi, anche per farlo essiccare. Allora luce e aria. E  in questa casa la prima cosa che si nota è la leggerezza, l’intreccio dei vecchi pezzi di legno che ne fanno la struttura portante, il loro colore. È un luogo dove la luce danza e tutto spende a dispetto dell’Open Space. Perché, indubbiamente la cifra è la continuità visiva, ma non so voi, a me questo sistema sa di noia: niente da scoprire, nessuna stanza che si cela e nasconde un ambiente di rottura. Qui si, la piena vista è mediata. Le stanze al piano superiore hanno le pareti e sotto qualche ambienti è celato.

Elisabetta Guida
(La Firme, si è occupata degli interni, mentre Michel Lemieux Architecte della struttura)