Il senso del peccato in un arredo
Premessa:
Maria Caterina Operti di Cervasca è la figlia di un marchese, nasce il 22 giugno del 1801, il giorno dopo l’inizio dell’estate. E, come in quegli anni quando i giorni di pioggia si susseguono interminabili, ma, poi arriva il sole e si ti prende la scena, allo stesso modo succederà a Catarina. Fu la nona figlia, così la famiglia, per evitare dispersioni ereditarie, decidette per lei il convento.
Passano i giorni, dopo qualche anno diventa badessa del convento di SS Annunziata e tutto sembra procedere come previsto. Se non fosse che… arrivò il 1831.
Avete presente l’effetto farfalla -per cui basta un suo battito d’ali per provocare un uragano dall’altra parte del mondo- ?
Ecco, questa è la dimostrazione.

Passo indietro:
Luigi XVI, il re giustiziato durante la rivoluzione francese, aveva un fratello che riuscì a fuggire in Germania. Successe, che dopo la sconfitta di Napoleone ed essendo il figlio di Maria Antonietta (Luigi XVII) morto in carcere, così prese la corona come Luigi XVIII restaurando una monarchia parlamentare. Ma alla nobiltà la costituzione stava stretta. Dunque il successore, Carlo D’Angiò pensò di abolirla, risarcire le proprietà ai nobili fuggiti lontano dalla Francia ai tempi di Robespierre, restringere il dritto di voto ed abolire la libertà di stampa. Insomma, un colpo di spugna alla rivoluzione. Così Parigi insorse nuovamente, e, come se avesse riacceso e soffiato sugli ideali della rivoluzione, i disordini si estesero per tutta Europa nel tentativo di essere un po’ meno sudditi. A Torino erano i tempi della carboneria e delle insurrezioni contro i Savoia. Il caso volle che i feriti venissero curati proprio nel Convento della SS. Annunziata dove Caterina era la Badessa. Ora, lei e uno dei ragazzi soccorsi non si innamorarono? Totale: scappano e lei per mantenersi fa la cuoca. Lavoro che le riesce così bene che, anni e anni dopo -quando lui lascia questa vita- svolge le sue mansioni a Corte, sempre sotto falso nome, e nel giro di poco diventa la chef personale della regina. Ma Maria Teresa d’Asburgo-Lorena -religiosissima- una volta scoperta l’identità di Caterina la “convince” -chissà…- e aiuta a tornare in convento dove continua a cucinare ed il suo diventa luogo d’elezione per i ritiri spirituali dei nobili.
“Catarina. il salotto della badessa”. @PEPE fotografia @PEPE fotografia La lente del peccato
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In tutto questo, “Catarina. Il salotto della badessa”, un ristorante torinese, vorrebbe raccogliere l’eredità culinaria di Maria Caterina Operti di Cervasca. Trenta metri quadrati giocati sul concetto di una cucina legata all’idea che se ne aveva nei monasteri – cioè: prodotti dell’orto, animali allevati nei cortili, erbe e frutti spontanei- e come coprotagonista “il peccato”. Insomma cibo, amore e lussuria contrapposta ai voti religiosi.
A proposito è interessante vedere come la sensualità Possa essere resa in un arredamento.
L’esterno dell’Hotel Maison Souquet. Una semplicità che tradisce l’opulenza dell’interno. (C)MaisonSouquet (C)MaisonSouquet
Prendete la Maison Souquet a Parigi. Un hotel di lusso basato più che su una maison close (che peraltro abitava quelle stanze durante la Belle Epoque), sopra una voluttuosa -è molto opulenta- residenza privata. L’architetto d’interni, Jacques Garcia -dietro la facciata di un palazzo quasi anonimo, segnalato solo da due lanterne rosse- ha nascosto una bellezza una bellezza ricca sfarzosa. Lo stile è un mix Napoleone III / arabo (ricorda i giardini dell’Alhambra, dove li piante da frutta erano tenutead un altezza tale che permettesse a chiunque passeggiasse di poterne prendere…). Lo stesso caffè è pensato per fare assaporare un tete-a-tete come se si trattasse di fare un pasticcino con un arredo. A raffrontarlo con “Catarina. Il salotto della badessa” si pone su un altra visione della atmosfera.
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E’ il concetto di peccato la differenza.
Lo studio di architettura “lamatilde” ha creato un ambiente in equilibrio tra pudore e provocazione.
Le luci soffuse, il rosso/arancio(quasi mattone, ma più chiaro, più brillante) della panca imbottita a fronte dell’austerita di un bancone in legno naturale e poi di una quadreria caratterizzata dalla verticalità (forse anche per di dare prospettiva ad un ambiente di per se’ piccolino -idea per creare una sala da pranzo mignon-) punteggiata dalla lente del peccato. I tavoli nerisssimi, fatti in modo da ricordare la solidità di quelli in ghisa, sembrano porsi come punto fermo tra il rosso che vuole osare e il grigio e l’azzurro che trattengono il cuore. Ma, contemporaneamente, quel nero assoluto pare un invito a seguire le proprie emozioni.
Qui la sensazione è sempre quella di scostare una tenda.
@PEPE fotografia @PEPE fotografia (C)MaisonSouquet
Conclusione: il bello è la duttilità di un concetto, la possibilità di metterci del proprio, declinandolo secondo il proprio modo di sentire, usare l’arredamento come un alfabeto. Elisabetta Guida