Il potere misterioso delle perle

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Perché, da secoli, le perle continuano ad essere “l’oggetto del desiderio”? 
Queste palline di madreperla, che potere avranno mai, sulla nostra anima? 
Considerato che Cleopatra brindava alla salute di Marco Antonio con perle disciolte nel vino. Ma, soprattutto, che assumono una consistenza materiale solo negli occhi di chi le guarda, non certo nella percezione di chi le indossa: le perle sono gioielli che avvolgano in una nebulosa che rende invincibili.

A proposito, la New York Jewelry week ha dato vita ad un progetto, che indaga la questione.  Si tratta di “Restringing the pearl” un gioco di parole tra “string” (il filo di perle) e “re” che è un po’ il ripensare a tutto. Certo, è tutto un punto di vista. 
In questo caso di un gruppo di designer che ha raccontato e provato a creare, gioielli che rappresentano, per loro il senso di una perla. 

Elisabeth Brim racconta che quando raccontó a sua mamma che avrebbe partecipato ad un corso per imparare la forgiatura,tra forni e metalli incandescenti, non ne ebbe una risposta molto entusiasta. 
Però propose un modo per mettere le cose nel giusto ordine:  sua figlia avrebbe sempre dovuto indossare un filo di perle, anche in fonderia.
Insomma una bussola per non perdersi, ma anche un’arma invincibile per allontanare i mostri in cui ci si imbatte . Petra Class è la figlia di una sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti. Questa signora non riuscì mai a superare il trauma, ma negli anni cinquanta durante il boom economico ebbe il suo filo di perle. La designer racconta che quando le indossava sapevano cancellare ogni ombra. 

Sembra che Aaron Decker abbia scoperto  la ricetta dell’incantesimo che si agita in ogni perla. 
Dice che bisogna fare riferimento a “La lettera scarlatta”, il romanzo di Nathaniel Hawthorne pubblicato nel 1850. Ed in particolare chiedersi perché la figlia della protagonista, il frutto del peccato, fosse stata chiamata “Pearl”. La risposta viene facile, essendo un chiaro riferimento ad Afrodite, la quale si diceva, nata dalla schiuma del mare, avesse le dita come perle. E dunque  onore a amore e lussuria, alla faccia del perbenismo.

Eppure  è curioso  il modo in cui si dia allo stesso oggetto un significato differente. 


Tanya Crane, associa le collane di perle ad una protagonista -ricca, col mondo ai suoi piedi, disinteressata e votata all’apparenza- di un un film di Jhon Hughes che era stata una delle ossessioni durante la sua adolescenza. Ma poi, ripensandoci l’ha considerata l’opposto di quello che avrebbe voluto essere. 
Certo non tutti possono avere una buona opinione delle perle. Fra queste anche Mielle Harvey che  pensa al fastidio dell’ ostrica, aperta contro la sua volontà e con un corpo estraneo con cui dividere lo spazio. Dunque per lei le perle sono un gioiello che devono comunicare disagio.

Ma per molti dei designer che partecipano a questo progetto, la collana di perle è famiglia, qualcosa di talmente prezioso da tenere quasi nascosta: un tesoro, come potrebbe esserlo la vita stessa. Kathleen Brown racconta che quando la sua seconda mamma morí, lei ne fu l’esecutrice testamentaria. Andò in banca aprí la cassetta di sicurezza e trovò una collana di perle antichissima fatta per essere indossata da un neonato. Dopo varie ricerche scoprí che probabilmente era appartenuta alla nonna della sua mamma adottiva.

Non che una perla debba necessariamente essere nata da un ostrica, come ribadiscono molti designer.
Ed in definitiva, forse il potere misterioso delle perle è quello di far trovare quello che si cerca.

Elisabetta Guida