Graffiti

C’è chi considera le scritte sui muri come fossero gli antichi social. Secondo me no, i muri (a dispetto dei loro proprietari) sono molto più ambiti e non passano mai di moda. 
Pensate a Obey (pseudonimo di Shepard Fairey), l’artista che riprodusse sui muri il volto in quadricromia di Barak Obama, diventato poi il simbolo della sua campagna elettorale; oppure a Banksy. (Adesso entrambi espongono nei musei e chi ha un muro con un loro graffito, un bel vantaggio economico). Di recente ad Anversa gli Street artist hanno reso omaggio Van Eyck. 
Vale anche per le scritte, ce ne sono di antichissime,  datate due o tre secoli fa o addirittura provenienti dalla Roma Antica.  
Si dice sia facilissimo imbattersi in loro, sembra basti un occhio allenato. C’è chi propone di vivere una nuova città attraverso la caccia al graffito.  A proposito si scoprono cose curiosissime; per esempio il simbolo della chiocciola, che è sinonimo di un indirizzo di posta elettronica, nel 1700 era un marcatore di tempo, significava ‘oggi’. C’è un libro, “I graffiti di Venezia’, di Alberto Toso Fei e Desi Marangon, dove ne sono raccolti 500 dei 6000 (a partire dal XV secolo) trovati in città.

Eppure a Verona qualche anno fa decisero di ripulire il “muro degli innamorati”  proibendo nuove scritte. Che strana cosa, visto che il motivo per cui la casa di Giulietta è diventata un mito è la tragedia di Shakespeare e chi lasciava messaggi si identificava in questo amore assoluto: storie rendevano il racconto  dello scrittore inglese ancora vivo ed attuale. E questo quando quei delinquenti che buttano le zuppe su opere d’arte patrimonio dell’umanità sono considerati con buonismo. Certo possono essere il destro per darsi un po’ di arie da intellettuali o progressisti illuminati. Però spiace, ecco. 
Credo che il problema dei muri, ruoti tutto attorno al fatto che la bellezza è negli occhi di chi guarda. Chi può dire cosa è arte e cosa no? E se il muro è di casa tua, sicuramente un risultato non in linea con il proprio gusto, non è simpatico.
Quindi non so, non c’è una soluzione. A New York sono gli stessi comitati di quartiere che  assumono i writer. Non che in questo modo ci sia la garanzia per tutti di un senso di bellezza. 


Rimane che quella dei graffiti è un ulteriore prova che siamo fatti di storie. 
Elisabetta Guida