Fabbriche


Mount Lawley -nell’Australia occidentale- era abitato dai Yabburu Bibbulman Noongar, degli aborigeni che utilizzavano l’attuale Hide Park, come punto di incontro con altre popolazioni e riserva di pesca. Poi è arrivato l’orrore della colonizzazione, e’ stata fondata Pertn e se ne è fatto uno dei maggiori distretti industriali del paese.



Proprio qui, in questo angolo di mondo, c’è una casa che appare come fosse una fabbrica restaurata. In realtà i mattoni sono stati presi dalla demolizione di un edificio vicino e la forma a dente di sega richiama le fabbriche della zona.
Ma la cosa che colpisce, più di tutto, è il calore che emana.
Intanto le aperture: l’esposizione a nord ed a sud è stata studiata per giocare con la luce. La scala più grande del normale per esaltare la curvatura della parete. Poi le tecniche di costruzione: metodi tradizionali in contesti insoliti. (Per esempio l’utilizzo dello stile jali, cioè le grate perforate a formare un disegno, per creare la struttura che espone i meccanismi dell’ascensore). I mattoni sono stati trattati con strati di vernice beige, blu e verde in equilibrio con il rosso; in modo da rimandare ad un altro tempo.
L’effetto è quello di una chiesa sconsacrata che è diventata un caffè, o un convento un hotel super lusso. Della fabbrica è rimasta solo la struttura architettonica.

Ma cos’è una fabbrica? Cioè, che percezione ne abbiamo?
In questi giorni, in provincia Parma, nello stabilimento Laterite -per Impresa Aperta- va in scena ‘Luce Naturale’. Una mostra fotografica che racconta la fabbrica come ‘luogo di relazione’.
Gabriele Basilico -uno dei due autori degli scatti- ha documentato il passaggio dagli anni ‘70 ad ‘80. Prima luogo dove è nata la lotta di classe, e che ha dato il via all’allargamento dei diritti. Allora la fabbrica non era solo lo stabilimento del datore di lavoro ma il luogo da dove si cercava di cambiare la società. Poi, negli anni 80, si è trasformata in posto asettico, un luogo dove si andava solo a lavorare perché la vita era da un altra parte.
Ma dal 2017 al 2020, il modo di percepire ‘la fabbrica’ cambia ancora. Il fotografo Luca Santiago Mora ci ha rivisto una rete di relazioni. La fabbrica in rapporto con l’ambiente circostante e la comunità.
Dunque cosa c’è dietro lo stile industriale? Perché ci si riconosce in questa forma?
La mia opinione è che la risposta sia qualcosa in bilico tra l’alienazione della fabbrica & Blade Runner. In entrambi i casi: una pausa dal mondo (o una fuga vera e propria). Perché questa è una forma che rimanda alla spersonalizzazione, all’individuo considerato come un oggetto. E se astraggo al massimo il concetto, mi viene in mente un sopravvissuto, qualcuno che ha bisogno di un po’ di nulla per lasciarsi alle spalle qualcosa, forse trovare un’altra dimensione. Lo stile industriale e’ un non tempo.
Certo a volte è una citazione, come nel caso della casa australiana. Altre un progetto di recupero architettonico di un area dismessa come Manifattura Tabacchi, a Firenze, che vorrebbe diventare la casa di artigiani ed artisti. Elisabetta Guida